Mare di Sassi il libro




Anthea di Nasso

Mare di Sassi

Romanzo Autobiografico


Questo libro parla di una  storia di  vita vissuta veramente, una vita che non ha perso tempo a mostrare la sua parte più difficile, forse la più dolorosa di tutte.  Una bambina  di dieci anni, un’adolescente piena di mille paure, le difficoltà di comunicazione con i genitori, la paura di rimanere da sola, la dipendenza da chi le stava intorno, l’universo misterioso del sesso, la ricerca continua  dell’amore di un uomo.
Questa è la storia di Bella, che saprà raccontarvi come ad un certo punto decise di prendere in mano la sua vita e cominciare a vivere davvero, con la forza e il coraggio di chi sa mettersi in discussione, con l’ardire di guardarsi dentro senza più paure e capire che in fondo ad ogni occasione di dolore si puo’ ritrovare la forza e la gioia di vivere. …
A mio padre,
che ha saputo infondermi
il valore delle parole, l’ onestà
 e la bellezza della semplicità.

Un Anteprima del mio primo libro

CAPITOLO I





Un giorno chiesi a mia  sorella  < Fede,  che cos’è l’amore? >,  <  lo scoprirai quando sarai grande >.
Questa era stata la  sua  “non” risposta.  Oggi sono cresciuta e mi faccio ancora  la stessa domanda. Chi può dirlo veramente cos’è l’amore? Ognuno lo dipinge secondo la propria esperienza. Ho intuito che l’amore non è mai lo stesso. L’amore umano assomiglia molto al bisogno del momento che si rivela spesso un’illusione, che poi è abitudine, un  bisogno che si ha di essere amati. L’amore non è mai sofferenza, quello che fa soffrire è qualcos’altro che c’è dentro di noi, stare insieme ad un’altra persona  è sofferenza, sacrificio, fare quello che non sempre ti va di fare. Ho conosciuto anche  un tipo d’amore che rende tutto più dolce, è l’amore di Dio.
Quella parte di Lui che dice, prendete la vostra croce da portare nel mio nome e il  giogo sarà più dolce.  Ho  l’impressione che questo sia l’amore vero, perché ho sperimentato che non è  un amore che muta, non delude e soprattutto non imbroglia.
Molti dicono che l’infanzia e l’adolescenza, siano i periodi piu’ belli della vita,  Per me sono stati anni di benessere, e di spensieratezza, come dovrebbe essere l’infanzia di ogni bambino al mondo, ma furono  anche anni di  perplessità e delusioni, di amare scoperte,  a tratti di disperazione  e di solitudine.
Fede è la maggiore, l’unica sorella che ho, è alta un metro e basta, capelli   tinti di rosso, è sempre stata un po’ rotondetta, di mestiere faceva la parrucchiera, e  rimanevo spesso incantata a guardarla mentre si aggiustava i capelli o si truccava. E’ bella mia sorella,mi dicevo;  è la donna più bella che io avessi mai visto dopo mia madre. L’ammiravo tantissimo  ed ero super arci straconvinta che saremmo  sempre rimasti insieme senza che nessuno potesse mai separarci. Ci credevo davvero .  La guardavo mentre si aggiustava i capelli allo specchio: -“che bello ci pensi Fede? “Noi resteremo sempre insieme, e tutto sarà sempre cosi come ora”; - ”Si come no ah ah ah “, ma che hai in quella testolina Sorellina?, fu la sua risposta. Non ho mai dimenticato l’espressione sulla sua faccia mentre la guardavo attraverso lo specchio, quel sorriso, che mi fece sentire una stupida.
Vivevo con la mia famiglia in un vecchio paesino di pescatori , l’acqua e il cielo azzurrissimi fanno, ancora oggi, da cornice al maestoso vulcano che d’inverno indossa il suo mantello bianco, sono nata in un posto dove il mare e il cielo si sposano ogni mattina al sorgere del sole.
Sono andata via dalla mia calda terra perché non c’era lavoro, non c’era futuro li’ per me. Oggi vivo dove non c’è il mare, solo nebbia, cemento e tanto freddo.
Mi sveglio  la mattina, silenzio intorno a me, qualche passo al piano di sopra e uno sporadico  cinguettio di uccellini. C’è la nebbia fuori e non ci sono profumi. Mi  vesto per uscire di casa come ogni mattina, per prendere un tram, una metro e infine un autobus. Abito in  città.
Uscendo di casa i profumi li sento, li riconosco uno a uno, pini, erba tagliata, aiuole bagnate  dalla pioggia, scarico di macchine strombazzanti, chiudo gli occhi come per recuperare la memoria di quei profumi ma non mi riportano a niente. Sono profumi nuovi per me, che non hanno nulla di familiare, non mi riportano alla mia infanzia, è tutto cosi nuovo  .
Sul comodino tra la radiosveglia e un’ angelo, il mio preferito, c’è la foto di Patch, ogni mattina mi riporta alla mia essenza di clown e fa nascere sul mio viso un sorriso, il primo sorriso della giornata. 
In agosto il vuoto della città è riempito solo da qualche clacson di un auto che passa, le strade sono deserte e non ci sono profumi nell’aria. Non sento odore di zagare, di salsedine o di dolci appena sfornati.  Raramente qualche vocina   di bambini che giocano.
Sulla mensola della mia  camera c’è la foto di mamma e papà, si legge nel loro sguardo la voglia di vivere, di amarsi e di tenersi per mano. I loro occhi brillano uniti in un abbraccio caldo e sincero. Gli occhi azzurri di  mio padre e il suo sorriso mi rimandano alla mia infanzia, e l’imponente figura di mia madre alla dolcezza di una donna che, non passasse giorno, ha  saputo sacrificarsi per la famiglia. Sono i miei genitori nel loro periodo piu’ felice, quando ancora la malattia di mio padre era a noi una cosa sconosciuta.
Ventiquattro anni lei, ventisette lui, stavano in una sala da ballo e mia madre lo vide subito, bello, imponente. Era il dopo guerra, e lui era appena tornato dal militare.   
Mio   padre era un uomo affascinante, braccia forti, muscoloso, di media statura, possedeva dei gran belli occhi azzurri, non  li ho presi da lui, i miei sono di un castano intenso.
Si sposarono nel 1962, un anno prima fecero la classica fuitina. Mia madre era e lo è tutt’ora, innamoratissima di quest’uomo che le dava sicurezza, quando aveva tempo libero lo dedicava alla casa. Era veramente un uomo che sapeva fare tutto: elettricista, idraulico,muratore, imbianchino, giardiniere e lo faceva con entusiasmo.
Dopo un anno di matrimonio, nacque mia sorella, boccoli d’oro, occhi scuri, pelle bianca come il latte, erano felicissimi. Dopo 6 anni nacque io.
Papà era un uomo di poche parole, tutto di un pezzo. Lavorava senza stancarsi per non far mancare nulla alla famiglia. Da bambino visse gli anni poveri del dopo guerra con grande sofferenza e lavorò tanto per alleviare a tutti noi  disagi delle ristrettezze e delle rinunce.
Non ci faceva mancare nulla. Seppe insegnarci i valori dell’onestà, la preziosità di un sorriso,  fu un esempio grande di cosa vuol dire rimboccarsi le maniche per andare avanti.
Papà ogni cosa la faceva per la famiglia, si prendeva cura di mia madre come la persona più importante della sua vita. Aveva grandi abilità manuali, lo vedevi aggiustare tutto, sistemare le sedie, il tavolo, io lo guardavo   e pensavo che tutti gli uomini fossero cosi.
Ho sempre sentito l’istinto di difenderli , da donna adulta ancora di più. I figli conoscono bene i genitori meglio di come loro stessi conoscano i figli, ne sono certa.  .....
......


dal CAPITOLO II

Una dolce malinconia mi pervade,
Nei miei occhi ci sono piu’ lacrime
Che rughe nel mio sorriso…

            Oggi è domenica, mi sono svegliata presto perché non riuscivo piu’ a stare a letto, fuori ci sono meno 4 gradi e io sono raffreddata, talmente che non riesco a respirare, il mio povero naso e la mia gola stanno gridando: - aiuto un’estintoreeeeeee.
Apro la finestra, fuori c’è il sole, finalmente una bella giornata mi dico, vedo passare i vicini che vanno a messa, nella casa di fronte c’è una  bambina che gioca con il cane e i suoi amici immaginari, si perché non vedo nessun’altro, eppure lei parla con qualcuno. E’ bellissima, occhi scuri,  capelli ondulati che scendono sulle spalle, mi ricorda molto me da bambina, nel vederla mi vengono in mente i miei giochi che erano simili ai suoi .
Da bambina amavo giocare con le collane di mia madre, mi divertivo ad indossare le scarpe con i tacchi di svariate misure piu’ grandi, giocavo a fare la signora che prendeva il tè con le amiche e parlavo con la mia amica immaginaria: “ – cara signora le posso offrire una tazza di tè? Sa i miei figli mi fanno tribolare, oggi non sono voluti andare a scuola”. .. “ e che ci vuole fare cara signora”..
Giocavo da sola spesso, quelle poche volte che chiedevo di raggiungere le mie amichette erano dolori. Mia madre per qualche misterioso motivo che non ho mai capito, non amava farmi giocare con gli altri bambini. La sua prima parola per tutto quello che le chiedevo era : “NO”. Ma io mi  mettevo a piangere, battevo i piedi, fino a quando stremata le strappavo un si.  Avevo un bel caratterino e sapevo come ottenere quello che volevo, quando non lo ottenevo allora facevo tutto di nascosto o raccontavo qualche bugia, ero pure diventata abbastanza brava. Non che ne vada fiera, ma era l’unico modo per strappare un si a mia madre, in fondo non facevo nulla di male, chiedevo solo di giocare, di confrontarmi con altri bambini della mia età. Guardare la bambina giocare mi riporta con la memoria alla mia infanzia.
Qualcosa accadde nell’ estate del 1979.
 Avevo 10 anni e mia madre mi mandava spesso dai nonni paterni , lei lavorava e le faceva comodo che qualcuno si prendesse cura di me. Mia sorella era già grande, lavorava anche lei e quindi era quasi indipendente. Io purtroppo ebbi la colpa o solo la sfortuna  di essere la piu’ piccola.
Non stavo ogni giorno dai nonni, ma spesso.  Ero super felicissima. Stare con la nonna mi piaceva un sacco, imparavo tante cose, andavamo a dare da mangiare alle galline e mi piaceva vedere zappare la terra, correvo nei campi, osservavo la gente passare. Andavamo al mercato e  in estate ogni pomeriggio  avevo un appuntamento fisso con il gelataio ambulante. Stavo li’ alla finestra, aspettavo l'eccitante suono del campanellino che annunciava il suo arrivo, cosi potevo correre fuori e gridare: “un bicchiere di granitaaaaaaaa”. Ho il ricordo di una bambina serena, felice con poco.

Ma un giorno, uno dei tanti giorni ......

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